PASQUA SENZA CORSE AD ACQUAVIVA
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ACQUAVIVA – La lunga agonia delle Corse dei Cavalli del giorno di Pasqua ad
Acquaviva sembra avere il suo epilogo in questo periodo contrassegnato dalla
crisi economica planetaria del millennio che non risparmia neppure le
tradizioni. L’anno scorso fu la pioggia a fermare il raduno ippico pasquale con
il già indispensabile apporto dei cavalli del Palio a sostituire i fantini
sulla sella, quasi introvabili. Un segno del destino forse, è vero che la
pioggia ha spesso minacciato di non far disputare le corse del giorno di
Pasqua ad Acquaviva, ma alla fine, tra una nuvola e l’altra, il sole riusciva
ad avere la meglio e la pista resisteva a qualsiasi impeto primaverile, quasi
fosse ricoperta di un impermeabile su cui l’acqua scivolava via. Il tempo per
primo non è voluto tornare indietro negli anni, quando le corse di Pasqua si
effettuavano in quelli che sono adesso i giardini pubblici di Acquaviva, il
Ferale, ed anche allora, come negli ultimi tempi, il via si dava dal canapo
agli ordini del mossiere. Poi la grande novità delle corse patrocinate dal
Jockey Club Italiano, poi U.N.I.R.E., una benedizione per la vecchia Società
Polisportiva Acquaviva che poteva fare a meno di pagare onerosi premi a
cavallai e fantini per risanare i sempre magri bilanci della società. Corse
spostate dal 1992 sul nuovo tracciato del Campo Sportivo a Fontegrande, più
ampio e spazioso e quindi più sicuro. Da allora di acqua ne è passata sotto i
ponti. Le idee non mancavano. I progetti di pista allargata per essere
maggiormente in regola con i dispositivi dell’ex Jockey Club, dagli attuali
400 metri ad 800, ma lì sorse un ostacolo imprevisto. Accanto alla pista
furono scoperte delle vecchie costruzioni, forse i resti di un vecchio
lavatoio e qualcuno pensò ad oggetti di valore storico. Sogni frantumati, si
pensò ad una pista ad uovo per evitare gli scavi ma nulla di questo fu messo
in opera e la pista non fu mai modificata. Niente modifiche e niente
possibilità per le scommesse. Si pensò a corse in notturna ma un impianto di
illuminazione decente costava ben oltre i cento milioni delle vecchi lire e
forse nessuno paventò una richiesta simile all’amministrazione comunale. Poi
sorse il problema dello steccato che fa da perimetro alla pista, che doveva
essere in pvc al posto dei tradizionali steccati in legno, più pericolosi in
caso di incidente durante le corse. Altra spesona: 22 milioni di lire e tra
richieste di finanziamenti ottenuti o disattesi lo steccato restò in legno ed
il Jockey iniziò a storcere il naso. Non avevano mai digerito queste corse di
provincia organizzate magari un po’ alla buona. Per qualche anno si arrivò
addirittura a tre riunione ippiche annuali, oltre a Pasqua, riunione per il
1° di maggio ed in occasione della Fiera di San Vittorino. Se Pasqua era
tradizione, non così era in occasione delle altre due date, gente poca e
soddisfazione “punta” e così prima sparirono le corse a settembre e poi anche
il 1° maggio cedette. La vecchia Polisportiva puntò allora alle gabbie di
partenza. Per almeno un decennio si faceva avanti e indietro dall’Abbadia a
prendere le gabbie in prestito dall’altro circuito comunale. Una volta (ma
forse non era Pasqua) giunsero durante lo svolgimento della manifestazione
tra lo sconcerto dei Commissari dell’U.N.I.R.E. che coglievano ogni piccola
occasione (non tutti comunque) per farti capire come non era possibile andare
avanti in quelle condizioni. Poi il grande passo, gabbie con sette posti e
con poca spesa acquistate da dove le corse erano già decadute e così
l’Impianto di Acquaviva poteva contare su gabbie proprie ed un incombenza in
meno. Ma l’U.N.I.R.E. (il Jockey non c’era già più) ogni anno tardava sempre
di più nel riconoscere le manifestazioni dell’Ippodromo di Via Fontegrande e
i soldi messi a disposizione per i premi erano sempre di meno. E così da tre
si passò a due riunioni ippiche riconosciute ed infine ad una soltanto, come
già accennato, quella di Pasqua, ma ormai era scritto. La crisi del settore
sempre più profonda faceva tremare anche i circuiti più gettonati e per
Acquaviva ed altri ippodromi della zona il destino era segnato. Tra un
ufficio ed un altro si perdevano i contatti con l’U.N.I.R.E., non ci furono
Amici del Cavallo che ressero (così si proclamarono alcuni parlamentari
dell’epoca, ma forse ci sono ancora) e se si volevano le corse ad Acquaviva
toccava rimettere mano al portafoglio. Ed i premi non erano più quelli di
vent’anni prima, e neppure gli spettatori. Se negli anni 90 a vedere le corse
c’erano ben oltre le mille persone, nelle ultime riunioni ippiche pasquali se
si arrivava a cinquecento era grassa. Con un pubblico sempre più canuto non
era facile immaginare un futuro roseo per il cavallo nostrano. Ed allora ecco
la ciambella di salvataggio dei cavalli del circuito paliesco. Con le
scuderie di zona a corto di cavalli da corsa, non restava che attingere da
dove il cavallo è considerato veramente un oggetto di culto. Ma ormai la
crisi è irreversibile, gli sponsor sono pochi e l’entusiasmo è sempre più
offuscato da un malcelato nervosismo dovuto al timore di non riuscire a
mantenere viva una tradizione quasi secolare. |
E così quest’anno, a.d. 2009, non si corre. |
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Per concludere, a noi, paladini di un
cavallo moderno senza anima costretto a fare i conti con costi sempre più
proibitivi, non resta che ricordare questi ultimi anni di corse ad Acquaviva,
delle giornate di festa passate ad organizzare con fervore e preoccupazione
per le condizioni metereologiche sempre foriere di possibili eventi avversi
che potevano far diminuire l’afflusso degli spettatori e quindi il necessario
ritorno economico per la società; della pubblicità, prima con l’affissione
dei manifesti con regolare richiesta agli uffici preposti fino ad arrivare ai
raid notturni di due-tre giorni prima delle corse con l’apposizione galeotta
agli incroci di piccoli manifesti che catturassero l’attenzione dei viaggiatori,
rischiando magari di creare qualche incidente per procurata disattenzione
alla guida; dei Venerdì Santo passati al Centro Civico per riuscire a mettere
insieme il numero maggiore possibile di cavalli distribuiti nelle cinque
batterie previste boicottando messa e processione (che il Signore ci
perdoni); delle lotte intestine tra proprietari di cavalli che “se tu fai
partecipare quel cavallo a quella corsa io ritiro il mio”, delle provocazioni
agli organizzatori e delle lotte fisiche, nel vero senso della parola, sempre
tra i proprietari di scuderie che misuravano la loro forza tra approcci corpo
a corpo e corde vocali alterate; delle centinaia e centinaia di programmi
stampati sempre più destinati al cesto dell’immondizia per mancanza di
lettori; delle ricerche spasmodiche dei cavalli con a volte grandi
interrogativi su nomi introvabili, di che sesso è, che mantello ha, quanti
anni hanno … per non tradire le attese dei Commissari del Jockey Club; dei
pesi applicati ai fantini nelle corse a vendere dove non si riusciva mai a
vendere niente e delle condizionate con troppi se ma non si sa come; delle
corse con due o addirittura un cavallo che doveva comunque mantenere una
certa andatura per non perdere il diritto al primo posto; di quella scuderia
che piazzò cinque cavalli su cinque sul gran premio e non ebbe rivali, però
gli mancavano le casacche ed i commissari gli fecero la multa; delle
relazioni chilometriche e delle centinaia di dichiarazioni dei proprietari
titolari di colori di aver preso parte solo a corse patrocinate
dall’U.N.I.RE. e spedite all’U.n.i.r.e. che poi gli ci voleva un anno per
pagare i premi; delle borse termiche un po’ puzzolenti contenenti le analisi
del sangue dei cavalli vincitori da mettere in frigo e spedire per corriere
al laboratorio di analisi dove alla fine tutti i cavalli risultavano regolari
al doping; delle centinaia e centinaia di telefonate di Mario per rastrellare
anche i peggiori ronzini pur di arrivare ad un numero decente di
partecipanti; (e chi più ne ha più ne
metta). Se tutto questo non vale il prezzo
della tradizione, ci dispiace e ce ne scusiamo. |
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